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di Adriana Terzo
A proposito di ministra, registriamo - con piacere - la presa di posizione dell’Accademia della Crusca di appena pochi giorni fa che rompe inesorabilmente gli indugi, con buona pace di chi ancora si fa venire il mal di pancia nel coniugare al femminile certe cariche o professioni. Ministra, assessora, sindaca, magistrata, non ci sono dubbi: si dice (e si scrive) proprio così. La fonte è, per l’appunto, la più autorevole che ci sia: la presidente dell’Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio. La quale, smentendo clamorosamente Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, lapidariamente comunica: “Lieta dell'accoglienza positiva riservata dal pubblico e dalla stampa al recente volume La Crusca risponde (a cura di M. Biffi e R. Setti, Le Lettere - Accademia della Crusca, 2013), per evitare alcuni possibili equivoci nelle sintesi che si vanno diffondendo in rete, tiene a ribadire l'opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l'assessora, la senatrice, la deputata) e professioni alle quali l'accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice)....clicca sul titolo per continuare a leggere.
La posizione dell'Accademia è documentata da iniziative diverse: il Progetto genere e linguaggio svolto in collaborazione col Comune di Firenze; la Guida agli atti amministrativi, pubblicata dalla Crusca e dall'Istituto di Teoria e Tecnica dell'Informazione Giuridica del Consiglio Nazionale delle Ricerche ITTIG-CNR (http://www.ittig.cnr.it/Ricerca/Testi/GuidaAttiAmministrativi.pdf); il Tema del mese a cura di Cecilia Robustelli, pubblicato nel marzo 2013 sul sito dell'Accademia (http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/infermiera-s-ingegnera) e varie interviste rilasciate da accademici”.
Quale il motivo di tanta presa di posizione ufficiale? L’articolo del giornalista, dal titolo inequivocabile “Sì a inciucio, no a ministra”, i verdetti della Crusca”, in occasione della presentazione del volume “La Crusca risponde. Dalla carta al web 1995-2005”, a cura di Marco Biffi e Raffaella Setti (Le Lettere, pp. 252, € 22), presentato mercoledì scorso nel Salone de’ Dugento, a Firenze. Spiace che l’illustre collega sia inciampato in un errore così grossolano e ci viene il dubbio, fondato, che non di sola disquisizione grammaticale si tratti ma di ben più radicato sessismo. Questa volta applicato al linguaggio.
Resocontando il libro, dunque, Stella scrive (citiamo testualmente): “A proposito, il presidente o la presidente della Crusca, trattandosi di una donna? Il ministro, la ministra, o la ministro della Pubblica istruzione, con l’apposizione di un antroponimo femminile? Risponde Giovanni Nencioni: La proposta di mantenere il titolo al maschile anche quando la carica sia affidata a una donna, continua l’uso antico di usare il genere maschile come comprensivo del femminile quando ci si riferiva a proprietà comuni a tutto il genere umano”.
E invece non è così, a giudicare dalla la smentita puntuale dell’Accademia. A questo punto sorge spontanea una domanda: ma il libro Stella, l’ha letto? Ecco il dubbio fondato di cui sopra. Perché se recensisci un libro sulle risposte dell’Accademia a circa duecento nuovi quesiti sul lessico e sulla grammatica dell’italiano, di sicuro il volume te lo sarai dovuto almeno in buona parte leggere. E allora delle due l’una: o non l’hai letto, e deontologicamente è molto scorretto. Oppure c’è un problema politico che ti fa scegliere e decidere se le donne debbano o no essere visibili, anche attraverso il linguaggio. Perché, come sappiamo, nominare significa far esistere, prima nell’immaginario collettivo e di conseguenza, nella realtà di tutti i giorni. Sul lavoro, a scuola, in famiglia, là dove sin da bambine si formano le identità che ci rafforzeranno e ci aiuteranno ad affrontare il mondo. Per questo nominare o no la ministra o l’avvocata ci rende tutti più responsabili politicamente nel mantenere stereotipi e luoghi comuni che invece vogliono la donna solo a pulire il culetto del bebè o a preparare la torta di compleanno. O, quando va peggio, a fare la velina o la escort.
Ma non è finita. Ancora a proposito di deontologia professionale, nel suo articolo lo stimato collega riporta tra virgolette il commento di Giovanni Nencioni, linguista e lessicografo italiano, uno dei maggiori storici della lingua italiana, accademico dei Lincei, presidente dell'Accademia della Crusca dal 1972 al 2000 e professore emerito della Normale di Pisa, come se l’avesse or ora intervistato. Peccato che il nostro, bontà sua, è deceduto il 5 maggio del 2008, a Firenze!
Ma che modo è questo di fare informazione?
Pensavamo che l'uccisione di Fabiana, bruciata viva dal fidanzato sedicenne, esprimesse un punto di non ritorno. Invece no. L'insulto che è stato rivolto alla ministra Cécile Kyenge – da un'altra donna – dice molto più di quanto non vogliamo ammettere. E di fronte ad una violenza verbale simile, non ci sono scuse o giustificazioni che tengano. Noi non siamo mai state silenziose, abbiamo sempre denunciato questi fatti, le violenze fisiche e quelle verbali. Ma non basta. Leggi